sabato 14 settembre 2013

Io, Marylin e la torre


Dalla mia strana villetta con tetti spioventi a tegole rosse scendo di solito a fare svogliatamente un bagnetto libero fra gli scogli di Torre Cintola, sulla strada per il Capitolo di Monopoli. C’è un breve tratto di scogliera alta, un cartello avverte di  pericolo di dissesto idrogeologico, nessuno ci fa caso. Qualcuno fa picnic all’ombra della torre semidiroccata, l’hanno rimessa su in parte e poi abbandonata. Quasi accanto c’è un bar che è cresciuto pian piano, prima c’era un baracchino per le cozze. Il baracchino si è spostato più in là e si è ingrandito, ha lunghe tettoie di legno quasi a ridosso di un villaggio turistico a palle bianche che ora è chiuso. E’ fallito dopo anni ruggenti, proprio quando gli avevano spianato di fronte un vasto parcheggio con una stradina ciclabile che non porta da nessuna parte. Il bar invece si è esteso scendendo sugli scogli con terrazzini e divani, ci hanno piantato persino una palmetta. Io ci  passo qualche volta col pretesto di farmi uno spritz, in realtà vado a trovare la mia amica Marylin.
Mi siedo ad un tavolino e lei mi sorride da una grande foto in bianconero affissa su una parete esterna del chiosco, dalla parte che guarda il mare e l’oriente. Non c’è niente di morboso nel suo protendersi verso di me dalla scollatura vasta e morbida, nessuna tentazione da dottor Antonio, come la felliniana Anitona gigantesca che invitava a bere più latte. No, con Marylin siamo cresciuti insieme. Pochi giorni fa, il 5 agosto, era l’anniversario della sua morte. Quella sera del 1962, quando giunse in redazione la notizia del tragico rinvenimento del suo mitico corpo spento su un letto disfatto, mi chiesero di scriverne in prima pagina. Alla Gazzetta ero entrato da pochi mesi, in prima pagina di solito nessuno poteva scrivere se non il direttore Oronzo Valentini. Non ricordo cosa scrissi, probabilmente qualcosa di patetico, piacque a parecchi. “Dovresti scrivere sempre di queste cose” mi disse Cettina, la moglie di Michele Campione, incontrandomi il giorno dopo come ogni estate, alla Baia di Palese.
Negli anni Novanta andai a Los Angeles con Flavia Pankiewicz. Lessi su una guida che dalle parti del mio albergo – era vicino al campus dell’UCLA, l’Università californiana – doveva stare il luogo dove Marylin Monroe era sepolta. Ci misi due ore per trovarlo, nessuno sapeva o forse non capivo. Era un giardinetto chiuso fra un garage multipiano, poche tombe di vip più o meno sul prato o alle pareti, anche Truman Capote credo. Marylin stava in un loculo dentro il muro di cinta, solo una lapide di pietra bianca col nome e le date 1926 -1962,  lì sotto una panchinetta con l’iscrizione “Amici di Marylin”, niente fiori, non più il fascio di rose che si favoleggiava mandasse ogni giorno Joe Di Maggio. Avrei voluto portargliele io, una sola rosa intendiamoci, ma non c’era ombra di fioraio per chilometri. Gliel’ho ricordato andandola a salutare nel pomeriggio torrido di questo 5 agosto e lei mi ha ammiccato, così va la vita.

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