sabato 14 settembre 2013

Commiato da Adele Plotkin, un'americana a Bari. La pittura come sogno "oltre il muro"


Colpisce dolorosamente gli ambienti della cultura la scomparsa a Bari  di Adele Plotkin, la valente pittrice americana  per nascita (Newark 1931) e formazione, incardinata a Bari da mezzo secolo dove si era affermata fra i più interessanti esponenti dei fermenti di arte nuova che percorrevano la Puglia negli anni Settanta. Vi era giunta come moglie di Carlo Ferdinando Russo, l’illustre grecista ora novantenne che è stato titolare per oltre un ventennio della cattedra universitaria di Letteratura Greca e che da Bari ha diretto la prestigiosa rivista letteraria “Belfagor” fondata dal celebre padre Luigi Russo. Lei scese in Italia per una borsa di studio Fullbright dopo la laurea conseguita nella Yale University dove era stata allieva di Joseph Albers, uno dei grandi protagonisti del Bauhaus emigrati negli USA. Dopo soggiorni a Venezia (in contatti con Vedova e Tancredi) e ad Ischia dove conobbe “Lallo”, tenne la prima personale nel 1970 a Roma, presentata da Cesare Vivaldi, autorevole critico della neoavanguardia.  L’anno seguente esordì a Bari nella galleria La Bussola di Elia Canestrari, con presentazione di Enrico Crispolti. Proponeva forme di sentore organico, dai toni sull’ocra che davano di terra e di vegetazioni, fluttuanti in concatenazioni e grumi nello spazio. Rimandavano ad Arshile Gorky,  il pittore di origine russa -ebrea  (come la sua famiglia)  che aveva avuto ruolo decisivo nell’avvìo di Pollock e dell’Espressionismo astratto a New York.  La lezione astrattista di Albers era più evidente nelle esperienze che riversò nel corso di Psicologia della forma e Teoria della percezione che le era stato affidato nello stesso 1971 dalla neonata Accademia di Belle Arti di Bari. Ci eravamo molto impegnati, il direttore Roberto De Robertis ed io come docente di Storia dell’Arte, per istituire quel  corso sperimentale come fiore all’occhiello di un progetto di moderna didattica,  e per assegnarlo – superando diffidenze e resistenze – ad un’artista “forestiera” portatrice di ricerche linguistiche nuove non soltanto per la cultura accademica. Incarico che la Plotkin resse con rigore ed amore sino al 1996, formando intere generazioni di allievi, anche con successivi master.

Nella sua pittura, liberi echi da  Albers potevano tornare a cogliersi  con la personale del 1977 nel  Centrosei di Nicola De Benedictis (storia ricostruita di recente dalla ricerca guidata in ambito universitario da Christine Farese Sperken): campiture geometriche di colori acrilici su cui galleggiavano efflorescenze vegetali, debordanti anche sui muri . Dagli Ottanta si era rivolta ad una forma-base, il cerchio, e ad un gamma di variazioni sul blu-verde  con collages di carte dipinte a tempera. Sino a forme irregolari, come nuvole o amebe, evocatrici di cieli vaganti o mappe di arcipelaghi senza nome, in sempre più sintetica liquidità di spazi. Evoluzioni seguite da  critici del calibro di Dorfles, Menna, Rosci, Meneguzzo, Masoero. Ma con apparizioni sempre più rade, scandite da una scelta di riservatezza di vita in comune col  suo compagno e da selezionate frequentazioni intellettuali . Oltre ad alcune partecipazioni a mostre collettive, le ultime personali sono state quelle del 1997 a Bari (galleria Museo Nuova Era) e del 1998 a Bolzano. L’ingiusto silenzio su una esperienza di raffinata sensibilità e di alto rigore linguistico è stato rotto dall’amico “storico” Raimondo Coga, con una sobria monografia di “Immagini ed Echi” edita senza clamori  dalla sua Dedalo nel 2009.
Voleva essere un ricordo – mi scrisse allora con ironia – della  “meglio gioventù” vissuta fra noi in solidarietà anche generazionale. Ma in un recente incontro nella sua casa-laboratorio mi aveva confidato la voglia di dire ancora cose. La chiave sentimentale della sua pittura sta in una annotazione in calce ad una poesia di Robert Frost, Mending Walls, da lei assunta nel 1980 come testo per una mostra a Savona:  ”Nel mio paese delle meraviglie gli alberi camminano, ma non v’è traccia di muro”. Adele si era chiusa fra pareti di silenzio privato, fuori dalla rissa mondana, forse per sognare un mondo senza muri. Ora il suo sogno si è avverato.

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