venerdì 20 giugno 2014

Si è spento in un ospedale di Taranto Vittorio Del Piano.....



Ho appreso della scomparsa di Vittorio Del Piano, artista tarantino d'intensa storia. Me ne duole molto. Ecco qui di seguito il breve ricordo che ne ho tracciato per la Gazzetta del Mezzogiorno di domani.
"Si è spento in un ospedale di Taranto Vittorio Del Piano (Grottaglie 1941), artista con accese passioni sperimentali, protagonista di molte iniziative d’avanguardia in Puglia, e docente per parecchi anni di corsi speciali nell’Accademia di Belle Arti di Bari-Mola. Era emerso nei Sessanta fra i giovani impegnati a Taranto in prove di arte geometrizzante fra ghestaltismo e neocostruttivismo, molto attive negli anni in cui nasceva il Siderurgico, sostenute dal critico Franco Sossi. Si era poi volto all’ambito dell’arte moltiplicata e meccanica, con affondi fra poesia visiva e nascente videoarte. Riteneva importante per la sua storia l’incontro con il critico francese Pierre Restany – il teorico del Nouveau Realisme - con cui stabilì un lungo rapporto, e con altri noti operatori culturali italiani e stranieri come Jacques Lepage, Rafael Alberti, Guido Le Noci, Michele Perfetti. L’arte come impegno civile e intervento “politico” nella città fu da lui sostenuta anche con una fervida produzione di scritti, fra cui il Manifesto dell’Arte Pura (1985). Fra cartelle serigrafiche, portfolio, opere di “arte postale”, espresse una creatività multimediale inquieta e fluviale, coinvolgente per i suoi allievi. Dotato di forti spiriti polemici, nutrì molto il sentimento dell’”esilio in patria”. Maturato, nel tempo, con battaglie tese a recuperare identità del suo territorio in cui comunque era profondamente radicato. Come l’Asilo-Maison Mediterraneo a Martina Franca (2007-2008) con la plantumazione di alberi in memoria dei suoi idoli. E sin quasi agli ultimi giorni, la campagna per recuperare al patrimonio di Taranto la “Persefone Gaia”, marmo del IV-V secolo che sta nel Pergamon Museum di Berlino. “La città se non è per l’uomo non è città” era uno dei suoi slogan. Torna di attualità mentre il sogno dell’”acciaio fra gli ulivi” tramonta fra nuvole di veleni".
   
Pietro Marino

sabato 8 febbraio 2014

Un Vettor Pisani finalmente più sereno a Bari: la mostra nel Teatro Margherita con le note di Ravel

No, non ci sarà da domani nel teatro Margherita di Bari la tartaruga che Vettor Pisani costrinse a girare veloce attaccata con lo scotch ad una macchinina telecomandata nel Castello Svevo, luglio 1970. E non ci saranno i “tre topi lentissimi” (criceti in verità) costretti al contrario a procedere incatenati. Invece, al centro della mostra sul grande artista barese scomparso nel 2011 che integra la retrospettiva in corso nel MADRE di Napoli, troneggia (ingrandita) la pedana in grigio sulla quale avvennero quelle obbligate performances. Con alcune tartarughine, tranquille discendenti di “malinconica Pot, la tartaruga più veloce del mondo”. Ancora dalla mostra 1970 restano due canestri con finte uova di struzzo, che allora erano messe a confronto con vaschette di uova vere, cotte e crude, gusci e tuorli. Era il tema della dialettica fra natura e (vincente) cultura che Pisani, fresco di letture antropologiche, metteva in scena con teatralità crudele alla Artaud. Oggi (evitando prudentemente le reazioni degli animalisti di ieri e di oggi) quelle installazioni sono consegnate ad una sorta di straniata metafisica dell’assenza. Ad un “silenzio” come quello che Vettor dedicava in una targa a Marcel Duchamp: massimo ispiratore della sua “arte critica” che a Bari sollecitò curiosità ma anche imbarazzi e polemiche.
Altri frammenti della mostra barese che consacrò l’esordiente artista come vincitore della seconda edizione del premio Pascali sono affidati a fotografie d’epoca ristampate da Claudio Abate. In una s’intravede l’artista in giacchetta bianca che sta in piedi, “impiccato” ad uno scorrevole di acciaio. Ma quella sconvolgente performance e le opere fondamentali che svolgevano i motivi duchampiani dell’incesto come simbolizzazione  del “maschile-femminile- androgino”  e dell’ impiccagione come censura e impedimento sono riprese ed esposte nella mostra di Napoli (vedi “Gazzetta” del 29 dicembre). 
A Bari i curatori (Andrea Viliani direttore del MADRE ed Eugenio Viola con la supervisione di Laura Cherubini, grande esperta e amica di Pisani) hanno preferito puntare su una limpida, ariosa lettura monotematica di un mondo che gioca fra contrasti dialettici e ambigue fusioni. Segni forti di teatralità simbolista e surreale sono incrociati con alchimie e trasparenze che rinviano al motivo amniotico dell’acqua in tonalità più “mediterranee”. Così, la pista delle tartarughe si trasforma in pedana da circo: circondata da disegni e dipinti con personaggi da circo appunto e dall’autobiografico “pupazzo di Paracelso” in frac impiccato a una ruota. Mentre ad una delle plastiche visioni di Ischia in sognante azzurro alchemico si contrappone il fotomontaggio con l’Isola dei Morti di Boecklin, Edipo e la Sfinge, sormontato da un piatto da musica come sole. E la scritta che smentisce Dostojevski “l’Arte non salverà il mondo”.
Ma clou scenico sono le cinque opere che si stagliano come “personaggi” (suggerisce Viliani) contro le vetrate da cui traspare il lungomare di Bari, su un pavimento tinto in blu Klein.   Al centro la (preziosa) ricostruzione dell’architettura a doppia semicroce a tau del R.C. Theatrum, il Teatro Rosacroce “che non esiste”. Congiunzione alla Beuys di Europa e Asia, labirinto minimalista di vetri. Attorno, la Venere di cioccolato posata su un quadrato di nove specchi alla Pascali e un pentolino con cioccolato in polvere che emanerà il suo profumo nella serata inaugurale. Il “tavolo anatomico” con  “incontri fortuiti” alla Isidore Ducasse, bibbia del surrealismo: un ombrello chiuso, uno aperto, un calco di busto di donna contenuto da cinghie. Un tavolo con piano di vetro nel quale si specchia la statuina di un putto rosa, altro prezioso recupero (“Vettor è nato sotto il segno dei Gemelli”, è il perentorio incipit di un illuminante testo 1976 di Mimma Pisani affisso lì accanto). E una tavolozza in plastica  azzurra su cui posa un uccello multicolore.
Altri notevoli documenti sul Teatro della Vergine e disegni di raffinata visionarietà eseguiti in epoche diverse (non però nei Sessanta, gli anni “baresi” di Vettor di cui ho scritto il 24 gennaio) compongono la mostra. In altri momenti abbiamo posto l’accento su una lettura in chiave tragica e grottesca (negli ultimi tempi sempre più disperatamente enfatica) della vita e dell’opera di questo “antieroe” dell’arte. A Bari una sintesi sublimata e decantata è offerta dallo stretto corridoio illuminato da luce azzurra alla Klein (prima di Turrell) con una piccola piramide aerea a parete che contiene un bambolotto. Intanto nello spazio si diffondono le note del Concerto per la mano sinistra di Ravel. Con vitalismo e speranza.  
PIETRO MARINO

* S’inaugura a Bari domani lunedì 27 gennaio alle ore 19 nel Teatro Margherita la mostra su Vettor Pisani “Eroica/Antieroica. Una retrospettiva”, sezione della retrospettiva in corso nel MADRE di Napoli. Sarà presente la vedova dell’artista, Mimma Pisani. Nel corso dell’inaugurazione si svolgerà una performance con Gaia Riposati che leggerà poesie di Vettor Pisani e l’esecuzione al piano delle Gymnopedies di Satie.  La mostra è stata presentata alla stampa ieri mattina nel Circolo della Vela, messo a disposizione dal presidente Simonetta Lorusso. Il vicesindaco Alfonso Pisicchio e Vito Labarile consigliere incaricato del sindaco per le arti visive hanno celebrato l’importanza della mostra (“ultima del mandato”) nel contesto delle iniziative attivate nel corso di quattro anni per fare del Margherita “un tempio dell’arte contemporanea”. Andrea Viliani direttore del MADRE ha spiegato ragioni e contenuti della mostra di Bari, da lui curata con Eugenio Viola sotto la supervisione di Laura Cherubini, vicepresidente del MADRE (sarà presente anche lei all’inaugurazione con il presidente Pierpaolo Forte). La mostra di Bari resterà aperta sino al 30 marzo, tutti i giorni (ore 11-13, 16-21) con ingresso libero.