giovedì 23 maggio 2013

Da Bari a Venezia la Malinconia in pose diverse

Sono dedicate a Cristiano De Gaetano, l’artista tarantino scomparso a soli 37 anni, le fotografie che Nicola Vinci espone per la prima volta a Bari nella galleria Doppelgaenger, per una mostra a due con Andreas Senoner, giovane scultore altoatesino. Nicola che da diverso tempo vive a Verona, è coetaneo e conterraneo  di Cristiano (è nato a Castellaneta nel 1975). Ha condiviso gli studi nell’Accademia di Bari –Mola. Esposero insieme a Bari nel 2007 per una mostra sul tema “Children” nella galleria Muratcentoventidue. Da anni Vinci mette in pose di straniante e struggente malinconia bambini e bambine solitari o in coppia, in stanzoni svuotati e degradati dall’abbandono del tempo, con porte che si socchiudono su vuoti di ombra. Nella serie di immagini digitali 2013  appare un bambino che indossa un costumino con scheletro dipinto, patetico più che macabro. Sembra voler giocare con la morte piuttosto che annunciarla. Lo osserva un fantasma di bambina in rosa, mentre per terra sono sparsi fogli di quaderni e pubblicazioni, anche di arte. La sofisticata tecnica di stampa gicléé accentua l’aura da pittura simbolista delle scene. Sono di bambini, anzi di ragazzi anche le statuine solitarie in legno dipinto che Senoner, 31 anni, erige con più compassata stupefazione di sguardi, fra primitivismo ben educato e realismo magico novecentista (c’entrano gli studi nell’Accademia di Firenze?). Non c’è desolazione ma elegia di tempo sospeso o perso, con tocchi di surreale ironia: un paio di orecchi mickey mouse, un vestito di piume blu-nere, una sospensione in gabbia di uccello…
Mentre il Dittico (curato e commentato – come le mostre precedenti - da Vittorio Parisi) è in corso in Palazzo Verrone sino al 21 giugno, Antonella Spano e Michele Spinelli preparano una impegnativa trasferta di Doppelgaenger a Venezia. Presentano, in concomitanza con la Biennale, la prima personale italiana di Tony Fiorentino, giovane artista nativo di Barletta che vive a Londra. Si terrà nel suggestivo spazio presso San Marco aperto da Norbert Salenbauch, il noto collezionista tedesco che due anni fa ospitò una mostra-performance di Valentina Vetturi. L’autore farà crescere in grandi ampolle di vetro alcune “sculture mutanti”, concrezioni che si formano da immersioni di zinchi in una soluzione di composti chimici: alchemico connubio fra arte e scienza, ispirato alla celebre Melancholia di Durer.

martedì 21 maggio 2013

Il Libro infinito sfogliato dagli artisti (per una mostra nel MARCA di Catanzaro)



Non si può fare a meno di pensare alla Biblioteca infinita di Borges entrando nel MARCA, il Museo d’arte di Catanzaro. Nell’atrio si erge una torre cilindrica fatta di libri stratificati come mattonelle. All’interno la torre si fa pozzo vertiginoso di cerchi cromatici, grazie a due specchi alla base e in alto. Così l’artista slovacco Matej Krén sublima l’esaltazione del Libro che viene proposta dalla grande mostra “Bookhouse” con circa 50 artisti internazionali. Anche in chiave drammatica, come annuncia all’esterno del museo una cascata di libri eruttati da un’alta finestra sino a spargersi al suolo. L’autrice della solidificata catastrofe, la spagnola Alicia Martìn, ci avverte subito che proprio il Libro come oggetto è il protagonista della stimolante rassegna curata da Alberto Fiz. Con tutte le avventure, trasformazioni e trasposizioni che l’arte contemporanea ha voluto dedurre dal nostro rapporto con l’esperienza del leggere.
L’alternativa di fondo sembra essere fra la traduzione della forma-libro in materiali e processi “estetici” e l’adozione del libro come oggetto concettuale- relazionale. Alla prima linea si rifanno artisti famosi con “sculture”ad alta valenza espressiva. Grandi pagine di acciaio dipinto sono aperte a ventaglio da Michelangelo Pistoletto. Kounellis le dispone come lastre su cui trascrive neri messaggi. Kiefer accumula tormentati fogli di piombo come codici strappati dal tempo. All’inverso, autori di nuova generazione adottano libri veri come “volumi” per  solide composizioni. Sono mattoni di un muro che s’innalza e crolla senza tregua nella videoinstallazione di Anouk Kruithof. Si offrono a Richard Wentworth per una installazione aerea, quasi un mobile oggettuale alla Calder. Diventano raffinati origami votivi nel lavoro d’intreccio di testi buddisti operato da Sabina Mezzaqui.
La distinzione conosce molti passaggi intermedi, ibridazioni di felice ambiguità. La sagoma di cavallo profilata da Mimmo Paladino in legno imbiancato contiene scaffali con copie dell’Ulisse di Joyce illustrato da lui. Di Oldenburg, campione della pop art, campeggia una insolita “scultura” di maestosità visionaria realizzata nel 1989 con la moglie Coosje Van Bruggen: evoca con forme in materiali plastici una biblioteca che si disintegra in una natura selvaggia. Non è poi così lontano come sembrerebbe il libretto recuperato nel 1973 da una discarica da Robert Rauschenberg con i margini bruciacchiati. Artisti di diversa estrazione e generazione sono accomunati dal sentimento inquieto della consunzione e insieme della resistenza che il libro oppone all’entropia del tempo, agli assalti dei fanatismi, ma anche al suo problematico destino nell’era della rivoluzione digitale. Di qui la fascinazione di biblioteche e librerie come custodie e sacrari: la segnalano in visioni fotografiche diversamente intriganti Candida Hofer, Per Barclay, Lisa Schmitz, Clegg & Guttman. Maria Friberg si distende addirittura in cibachrome dentro una protettiva nicchia di libri in cuoio.
Evoca vicende storiche Paolo Canevari bruciando in video su un fornello il libro Mein Kampf di Hitler. All’inverso Michael Rakowitz  rifà un manoscritto della biblioteca di Kassel bombardata nel 1943 con la pietra ricavata dalle caverne dell’Afghanistan in cui erano scolpiti i Budda distrutti dai talebani. Ma la crisi della scrittura come portatrice di significati era stata dichiarata con ironia concettuale nel 1968 da Emilio Isgrò (in mostra le tavole del suo Cristo cancellatore). Nel 1970 Vincenzo Agnetti dispiegava il testo tagliato del Libro dimenticato a memoria, Irma Blank nel 1977 liberava con finezza crittografica  “la parola dal senso”. Giulio Paolini risponde aprendo pagine di Heidegger con frammenti di gesso, Gregorio Botta tiene in vita pagine bianche soffiandovi un alito di vento, Claudio Parmiggiani dipinge col fumo fantasmi di libri.
Fra cancellazioni e apparizioni del tempo sociale muove la fantastica animazione di William Kentridge (Anti Mercator 2010-11), quasi capofila di proposte attuali di “reinvenzione dei medium”. Come le pile di trasparenti libri in plastica del coreano Airan Kang che fanno scorrere la scrittura in led luminosi. Coreano è anche Kibong Rhee, che lascia fluttuare come ali bianche in una teca da acquario immerso in luce blu le pagine di un libro fondante del pensiero europeo, ilTractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein. Meravigliante prova di tecnoimmaginazione che dall’Asia emergente offre al Libro un miraggio di rinnovato futuro.

*La mostra internazionale d’arte contemporanea “Bookhouse - La Forma del Libro” è aperta nel MARCA di Catanzaro (via A. Turco 63) sino al 5 ottobre 2013. E’ promossa dalla Amministrazione Provinciale di Catanzaro per la cura di Alberto Fiz direttore del MARCA. Orari: 9.30- 13, 16 -20.30, lunedì chiuso. 
Ingresso 3 euro. Catalogo ed. Silvana. Info: tel. 0961746797

Jimmie Durham, un indiano d'America fra gli ulivi di Puglia (flashback per una mostra nel teatro Margherita a Bari)


Dopo un anno e più, il Comune di Bari riapre all’arte contemporanea il Teatro Margherita. Lo fa recuperando una personale di Jimmie Durham, 73nne artista nativo-americano di fama internazionale, che molto ha a che fare con la Puglia. Lo dichiarano subito due possenti radici di secolari ulivi pugliesi che  s’impongono come tormentate sculture informali al centro della hall nella loro nudità esaltata da minimali scortecciamenti, a contrasto con la decadente grazia degli spazi. Durham si caricò dei monumentali objets trouvées vegetali due estati fa, recuperandoli dall’abbandono in un cantiere di barche a Monopoli. Era  ospite di Maurizio Morra Greco, il noto collezionista napoletano titolare della omonima Fondazione, nella sua residenza estiva nelle campagne fra Ceglie Messapica e Ostuni. In seguito, ha dedotto  da altri ulivi pugliesi e da alberi di noce molisani assi di taglio sommario, tronchi mozzati e sbozzati, rami levigati. Li ha composti quasi ad evocare una selva di “sculture” povere, che ora s’innalza umbratile fra i pilastri del teatro.
E’ stata così ricreata in diverso contesto la personale con 21 pezzi che lui curò personalmente tra dicembre del 2012 e febbraio di quest’anno a Napoli, nella Sala Dorica del Palazzo Reale, come evento iniziale del “Progetto XXI”. E’ una  rassegna di arte “avanzata e sperimentale” (con nove mostre lungo tutto il 2013) curata dalla Fondazione Morra Greco sotto l’egida del MADRE, il Museo di arte contemporanea che ha intrapreso un nuovo corso sotto la presidenza di Pierpaolo Forte. Però la mostra di Durham era stata concepita come atto finale del progetto di collaborazione che Morra Greco andava sviluppando con il Comune di Bari  e che doveva sfociare nella costituzione del BAC, museo di arte contemporanea nel teatro Margherita. Le cose poi sono andate diversamente – diciamo così. E Durham, che dall’anno scorso ha scelto di vivere proprio a Napoli,  tenne lì la sua mostra nata da un sogno di Puglia.
Ne scrissi allora sulla “Gazzetta”. E ancora una volta, i pezzi s’innalzano come sogni energetici di frammentata bellezza. Li tengono insieme placche inchiodate o morsetti di falegname, in bilico precario su colonnette treppiedi tavolini capitelli che l’artista ha scovato dai rigattieri di Napoli, esili piedistalli della memoria. Li segnano o puntellano blocchetti di grigia lava vesuviana. Si protendono come creature meticce nate da connubi ancestrali fra natura e cultura dei luoghi, con scabra ricerca di equilibri per la quale l’artista richiama la lezione di Brancusi (gli rende esplicito omaggio una delle opere esposte). Dei totem, verrebbe da dire se Durham non raccomandasse di evitare simili definizioni. Così come non ama che si esalti la sua origine di pellerossa. Non perché rinneghi la tribù cherokee deportata in Arkansas nella quale è nato, né le numerose battaglie da lui combattute per i diritti degli indiani d’America. Ma vuole evitare l’equivoco di letture etno-folcloriche, così come ha combattuto la mitizzazione del Wild West. Del resto vive in Europa da oltre vent’anni e non ha voluto più mettere piede negli States.
Le sue  “sculture” invece interrogano il vitalismo dei luoghi incontrati, se ne nutrono. “Lui ci parla con le pietre”, testimonia Maurizio Morra Greco che da tempo segue il lavoro suo e della moglie, la brava artista messicana Maria Teresa Alves. Pioniere di una idea di arte antropologica, la cultura naturista e libertaria del nativo americano ha incrociato (sin da Documenta Kassel 1992) il clima di poverismo europeo alimentato dal ricordo ancora vivo di Beuys. Così il suo lavoro di decostruzione primaria e di rivelazione precaria, “anarchitettura”, ha interessato molti giovani artisti. Ma quel che interessa e (probabilmente) si comunica con immediatezza al pubblico, è la rivelazione surreale del senso profondo del rapporto che lega la natura vegetale e minerale con il lavoro dell’uomo, testimoniato dalle sue reliquie, attrezzi umili, pezzi di tubi. Per questo la mostra nata fra Napoli e Bari s’intitola “Wood stone and friends”: un dialogo silenzioso fra amici.

*Si inaugura oggi a Bari nel Teatro Margherita (ore 19) la mostra personale di Jimmie Durham “Wood Stone and Friends” organizzata dal Comune di Bari e dal Museo MADRE di Napoli in collaborazione con la Fondazione Morra Greco. Resterà aperta sino al 31 agosto 2013, con ingresso libero. Orari: dalle 12 alle 20, mercoledì chiuso.  L’inaugurazione sarà preceduta da un convegno nella sala consiliare del Comune, sul tema “Contemporaneo Sud – per una strategia culturale di raggio meridionale”. Relazione introduttiva di Pierpaolo Forte presidente della Fondazione Donnaregina. Intervengono Angela Barbanente assessore ai Beni Culturali della Regione Puglia, Caterina Miraglia assessore alla Cultura della Regione Campania, Roberto Grossi presidente Federcultura Roma, Gregorio Angelini direttore regionale dei Beni Culturali di Puglia e Campania. Coordina Vito Labarile consigliere incaricato del Sindaco per le arti visive, conclude il sindaco di Bari Michele Emiliano.

Sei artisti all'attacco di un muro

Luca Coclite

E’ in corso a Bari una singolare esperienza di arte performativa, presso la galleria Bluorg. Si tratta del progetto “Wall in progress” ideato e curato da Marilena Di Tursi. Sei artisti sono chiamati ad intervenire, a distanza di pochi giorni uno dall’altro, su un grande “muro” di legno innalzato in galleria. Ogni intervento cancella o si sovrappone a quello precedente, sicché delle oper/azioni compiute restano singoli video, mentre un videocatalogo complessivo sarà presentato l’11 giugno. Il programma è stato avviato giovedì scorso da Pamela Campagna, lunedì è intervenuto Luca Coclite, domani venerdì Giuseppe Abate; poi Rosa Ciano, Chiara Gatto, Ferenz Kilian. Ora, non amo recensire mostre che non ci sono più o che non ho visto ancora. Ma – a parte che persiste la documentazione online -  urge segnalare il senso generale dell’iniziativa.
L’idea di interventi effimeri su un muro rivelerebbe simpatie per la street art. Ma il progetto nella sua complessità rinvia piuttosto ad una idea generale di arte per la quale assume senso il processo più che il prodotto. Scelta connotata dal sentimento della precarietà che accompagna dal Novecento un’arte che non aspira più all’eternità, semmai accetta l’opera come duchampianoobjet à detruire, segno della precarietà di una esperienza esistenziale prima che estetica. Pratiche della contemporaneità che conoscono in Puglia rari momenti di messa a fuoco tematica. Di qui l’interesse particolare delle provocazioni offerte da questo “wall” che cresce annullandosi, come una lavagna. Quasi una sfida concettuale sul tema (come suggerisce la curatrice) del limite, del confine, dell’impedimento.
Da una vera performance ha preso avvìo il primo intervento, dell’artista-designer barese Pamela Campagna. Sul muro rivoltato per terra quindi divenuto pedana e cosparso di polvere di carbone, una bailadora spagnola ha eseguito un tiptap a suon di  flamenco, componendo così  una specie di quadro di espressività astratta-informale. Riportato alla verticalità il muro rivelava anche la scritta “Dance until you die”. L’invito a “danzare sino a morire” (con echi da Pina Bausch) rinvia discretamente ad una primaria suggestione dell’autrice: le incursioni di protesta contro il capitalismo della crisi, compiute nelle banche di Siviglia dal gruppo “FLO 6x8”, inscenando un flamenco (ricordo delle radici “politiche” di questa danza gitana). Ha giocato invece sullo scambio tra immagine immateriale e cosa fisica il giovane artista leccese Luca Coclite. Ha trasformato il Muro in una simulazione di monitor gigante, rivestendolo di pannelli pvc su cui è stampato il cielo azzurro percorso da nuvole bianche dei programmi Rai. Su di esso sporgono o fuoriescono barrette di legno come versione concreta, solidificata dei frammenti visivi che scorrono e lampeggiano durante i disturbi delle trasmissioni in digitale. Ma altre sorprese incombono, già da domani. 
Tutto avviene in via Celentano 92/94. Per info: tel. 080 9904379

Vita breve di Cristiano De Gaetano


E’ scomparso a soli 37 anni Cristiano De Gaetano, uno dei talenti più interessanti  delle nuove generazioni di artisti pugliesi, che si andava affermando anche in campo nazionale. Tarantino di nascita, si è spento in un ospedale di Martina Franca dopo una dolorosa lotta contro il male che lo ha divorato velocemente. Era emerso sulla scena pugliese all’inizio dei Duemila, dopo aver frequentatol’Accademia di Belle Arti a Mola di Bari e alcune prime prove in provincia. Lo aveva rivelato a Bari nel 2001 una installazione di pornosatira con figure in legno e cera realizzata per “Ultim’ora” rassegna di esordienti pugliesi curata da Antonella Marino nella sala Murat. Poi nel 2004 la prima edizione del premio GAP, l’iniziativa per giovani artisti pugliesi (curata da Lia De Venere, Marilena Di Tursi e Antonella Marino) che il Comune di Bari ha sostenuto per tre edizioni, e poi abbandonato. Aveva affermato una personalità tormentata,  capace di variare modi  espressionisti sul filo del grottesco e delnoir  - tra Paul Mc Carthy e Louise Bourgeois - anche con l’uso di fotografie readymade . Nel 2002 apparvero videoanimazioni alla Kentridge in una rassegna,“Videocorner”,  curata da Cristina Bari per il Kismet. Nel 2005 esibì a sorpresa una spiazzante  serie di fotografie con coppie di gemelli,come in Diane Arbus, però uno ben più piccolo dell’altro.
 Dal 2006  aveva cominciato a produrre  ritratti di giovani uomini e donne profilati su sagome di legno in proporzioni un po’ fuori scala, eseguiti con cere pongo colorate, schiacciate e ed  accostate con effetti da divisionismo plastico. Figure di solennità straniata, fissità  forzata e l’abbozzo reticente, quasi fototessere ingrandite e ritagliate con riproduzione impeccabile quanto impassibile.” Finta pittura” che dava sul precario, con sentore di vintage. Aura da tempo perduto con personaggi  anonimi, al più di famiglia. “Bravura”  che aveva richiamatol’attenzione di  una importante galleria milanese e di diversi collezionisti (come si è visto dalle ultime  apparizioni, nella “Generazione Sud” del  Museo Pascali a Polignano e nella seconda edizione del “Giardino segreto” nel Castello Svevo di Bari).
Una promessa di successo che però gli andava stretta, con una perenne inquietudine per la quale aveva messo in gioco anche gli affetti familiari. Aveva esteso le scene dei suoi quadri-pongo anche a riprese di quadri famosi, come dell’amato Friedrich, pittore di metafisiche desolazioni.  Già preso dal male, aveva affidato all’amico-gallerista Fedele di Monopoli una serie  (tuttora inedita) di sculture in gesso cadaverico. Più che un presagio: sin da studente di Accademia  portava con sé maschere e foto di morte, e teschi si alternavano a ritratti di amici e personaggi precariamente dipinti su pacchetti di sigarette per una mostra da Vito Intini. Un destino esorcizzato con violenza ironica, una battaglia combattuta ricercando la sconfitta.

In memoria di Cristiano De Gaetano


Come primo omaggio a Cristiano De Gaetano - l'artista tarantino scomparso a soli 37 anni - riporto qui di seguito il "colpo d'occhio" che scrissi per  la sua personale 2009 a Bari, nella galleria Muratcentoventidue. 


Cristiano De Gaetano, tarantino, 33 anni, si è rivelato uno dei talenti più interessanti  delle nuove generazioni pugliesi . Promettente sin dai tempi in cui frequentava l’Accademia di Belle Arti a Mola di Bari. Ma talento inquieto, anche. Cioè capace di variare con disinvoltura  modi e mondi di espressione. Il che va anche bene quando si inizia e ci si guarda attorno.Purché non sia la rincorsa alla moda facile. Non è il caso, per fortuna, di Cristiano: la sua irrequietezza  non è superficiale, e lui sa prendersi anche i rischi. Premessa , questa, un po’ inusuale, sa di predica. Però mi pare opportuna per fornire un minimo dibackground alla serie di lavori che l’artista presenta a Bari per la prima volta (credo).
Si tratta  di ritratti a mezzo busto  di giovani uomini e donne profilati su sagome di legno in proporzioni un po’ fuori scala, come nei cartelloni di promozioni per strada o nei tirassegno. Ma contro i muri bianchi della galleria, è una dimensione che conferisce una sorta di solennità straniata alle figure. Hanno lo sguardo rivolto verso di noi con la fissità un po’ forzata e l’abbozzo reticente di mezzo sorriso che assumiamo quando ci mettiamo in posa nella cabina per fototessere. E  proprio di fototessere ingrandite e ritagliate, questi ritratti danno sentore. Anche nella loro fedeltà di riproduzione, impeccabile quanto impassibile, senza partecipazione emotiva o  giudizio.
Sembrerebbe fotografia ripassata a pittura con scrupolo mimetico, oppure pittura di artigianale realismo. Però basta avvicinarsi per accorgersi che c’è sì meticolosità manuale. Ma è affidata a cere pongo colorate, che l’artista spalma sminuzza schiaccia ed accosta con una tecnica che semmai è del mosaicista o dell’intarsiatore, o dello scultore quando modella la creta. Una sorta di divisionismo plastico, si potrebbe definire, se cadessimo nella trappola di contenere l’operazione nell’ambito di  virtuosismi neo-figurali. Di quelli che inducono gli ignoranti – nostalgici a strillare d’esultanza per “il ritorn odella pittura”. Nella fascinazione  di questa  “finta pittura” che dà sul precario, gioca anche un sentore  di vintage, da camicie a quadrettini o a larghi fiorami, foulard da upim.  Un non so che di aura da tempo perduto, nemmeno distratto da ricerca d’identità:  si tratta di persone anonime, magari amici ed amiche dell’autore, ma che non conosciamo.
E’  chiaro che il giovane pugliese si è conquistato attenzione anche in campo nazionale – è stato“adottato” da una galleria milanese – con una “bravura” che riprende i giochi concettuali del rapporto realtà-finzione sul filo di una ironia che sollecita la memoria ma tenendola a distanza di sicurezza sentimentale. Non ho più spazio per far notare come già in queste sagome – eseguite nell’arco stretto di tre anni – affiorano variazioni non solo di umori ma di soluzioni. Nessuna meraviglia se Lia De Venere, presentandolo, avverte che questa tecnica “potrebbe non essere una scelta definitiva”. No, non mi pare che Cristiano sia approdato nel porto della quiete. Nell’arte e nella vita.

sabato 4 maggio 2013

A Capri l'arte va a scuola, con Baruchello


Nuvole nere corrono fra squarci di sole nel cielo di Capri. Non se ne curano frotte di turisti tedeschi e giapponesi. Noi invece abbiamo a che fare con frotte di ragazzini vocianti: gli scolari delle due scuole medie dell’isola. Vogliono mostrarci i frutti del loro lavoro di una settimana trascorsa con otto giovani artisti venuti dal continente, quasi tutti di area milanese. Un’esperienza inusuale, perché si trattava di reinventare con i mezzi poveri della scuola, dividendosi in gruppi,  percorsi propri dell’arte contemporanea: mini installazioni, mini planimetrie, video interattivi, una stazione radio, dipinti concettuali, fanzine e album “narrativi”, collages fotografici e di moda. E come preludio e sintesi, due “giardini” collocati all’ingresso delle mostre:scatole di cartone disposte in circolo attorno ad un centro di sassi e d ivasetti con piantine, colorate a mano, colme di ritagli di foto, oggettini o disegnini, ispirati a parole-chiave su virtù, valori, desideri, speranze trascritte su fogli issati come bandiera. Li ha guidati in questa ouverture simbolica Gianfranco Baruchello, l’89enne artista pioniere di una personale avanguardia concettual-poverista che ha elaborato sin dai Sessanta l’idea di Giardino come “paesaggio mentale”: dalla “Agricola Cornelia” fondata nel 1973 ai cinque alberelli di gingko biloba piantati nel 2012 nel Torrione Passari a Molfetta, per una mostra curata da Giacomo Zaza.
 In coerenza ideale quindi con l’iniziativa promossa dalla Fondazione Capri:  la terza edizione di “Travelogue”, un progetto rivolto a promuovere la conoscenza della cultura e dell’arte contemporanea fra i ragazzi dell’isola. Progetto di semina in tempo lungo, che s’iscrive con intelligenza nel programma per il quale si è costituita nel 2009 la Fondazione con il concorso di imprenditori,albergatori e commercianti del luogo: coniugare turismo e cultura non solo tutelando il patrimonio di natura e storia dell’isola, ma soprattutto rilanciandone la vocazione come centro internazionale di incontri e come laboratorio artistico. D’intesa ovviamente con i due Comuni di Capri e Anacapri e con i responsabili e i docenti delle scuole. Così Travelogue 2013 ha affidato a due giovani curatori-critici milanesi, Damiano Gulli e Arianna Rosica, la scelta degli artisti-tutor da coinvolgere in un progetto con filo conduttore comune. Si trattava di sperimentare in concreto le idee di Richard Sennett, il sociologo americano assurto a celebrità con una serie di saggi che rilanciano il valore dell’esperienza manuale (“L’uomo artigiano”, 2008) e con essa la valenza anche politica oltre che sociale della cooperation, “l’agire insieme”. S’intitola proprio “Insieme.Rituali, piaceri, politiche della collaborazione” il libro edito da Feltrinelli l’anno scorso. Potrebbero leggerlo utilmente i ministri del governo Letta, ma con l’avvertenza che Sennett è stato consigliere di Obama e si oppone alle politiche di stampo liberal - rigorista.
Di qui l’interesse esemplare, a largo spettro, dell’evento di Capri. Ha voluto provare la positività di incontro creativo fra l’apprendimento personale del sapere e del fare e la coralità del progettare e lavorare in collettivo. Inconsueto il campo prescelto: il rapportofra scolari in erba e giovani portatori di saperi nuovi, al di fuori degli schemi della “educazione artistica”, coni modi e i materiali della post-modernità. Interessanti i risultati, guidati nell’istituto  “Ippolito Nievo” di Capri da Marcello Vanzo, Michele Tocca, Davide Stucchi, Paolo Gonzato e nell’istituto “Vincenzo Gemito” di Anacapri da Igor Muroni, Angelo Sarleti, Damiano Colacito,Sophie Usener. Ma più che i prodotti contano i processi: vigilati con serafica attenzione da Baruchello, che ha interrotto per Capri le pratiche di doppia partecipazione alla prossima Biennale di Venezia, invitato com’è sia nel “Palazzo Enciclopedico”di Massimiliano Gioni che al Padiglione Italia curato da Bartolomeo Pietromarchi. Ben eretto sul bastone da passeggio, può ben ripetere qui, contemplando i lavori dei giovanissimi allievi, il titolo di un suo libro scritto-visivo del 1989: “Bellissimo il giardino”.