giovedì 10 gennaio 2013

Angelo Savelli, il "maestro del bianco" riscoperto dal MARCA di Catanzaro


“C’è il Savelli che su irreali stipiti e battenti di assurde porte candide crea astratte magìe di occhi luminosi”. Così scrivevo nel remoto 1964 con stile ingenuamente immaginifico recensendo per la “Gazzetta” la Biennale di Venezia, a proposito di un artista di cui avrei perso le tracce dopo gli anni Ottanta. Era quell’Angelo Savelli che ora il MARCA di Catanzaro recupera ed esalta come il “maestro del bianco” con un’ampia retrospettiva assai opportuna. Rende doveroso omaggio ad un artista della sua terra (era nato a Pizzo Calabro nel 1911, morì nel 1995 in quel di Brescia). Ricostruisce un tassello significativo della storia di quegli anni “formidabili” (per dirla con Mario Capanna), il quarto di secolo tra fine Cinquanta e i Settanta nel quale ribollirono le neoavanguardie del secondo Novecento. Esemplare dei frenetici mutamenti del tempo è la vicenda di Savelli. Venuto a studiare in Accademia a Roma nel 1930, pratica una pittura “figurativa” con inquietudini espressioniste nell’aria di Scipione, con l’amico Guttuso e nel gruppo dell’Art Club. Nel 1948 va a Parigi e rimane folgorato dall’astrattismo, che riporta a Roma con dinamismi post-futuristi alla Prampolini accostandosi ad Afro e Burri. Nel 1953 sposa a Roma una giornalista americana e con lei va a New York. E tra qui, Filadelfia e altre residenze nell’area atlantica degli States resta a vivere, lavorare ed insegnare per oltre trent’anni, pur con frequenti ed intensi rapporti con l’Italia dove tornerà a trascorrere gli ultimi anni.
Dal contatto con l’espressionismo astratto dei nuovi amici americani - Barnett Newman su tutti - e degli italiani d’America (Scarpitta, Marca Relli) la sua pittura assume consistenza materica ed energia gestuale. Dal 1957 esplode la passione per il Bianco che già covava in lui. Come dimostra il primo quadro Fire dance, uno dei molti pezzi rari e pregiati della mostra curata da Alberto Fiz direttore del MARCA e da Luigi Sansone, provenienti da musei e collezioni importanti. Allora il culto del Bianco dilagava per il confluire di diverse motivazioni. L’assolutezza minimalista (Reinhardt, Agnes Martin) l’ azzeramento concettuale - oggettuale (Manzoni, Castellani) lo sfondamento dello spazio (Fontana) l’esistenzialismo zen (Klein) la finzione onirica (Pascali). Ma per nessuno il Bianco fu una scelta radicale e un culto assoluto come per Savelli. “Io vedo con occhi bianchi/io penso con bianca mente/ io agisco con bianche mani in un bianco corpo….” proclama in una poesia del 1959 che è un vero inno al Bianco come religione interiore, espansione panica nello spazio infinito, “eterico” dice lui.
Una modalità di pittura lirica mistica e cosmica che presto riconosce il suo vero precedente storico nel suprematismo di Malevic, autore nel 1919 del Quadrato bianco su fondo bianco. Al maestro russo si ispirano esplicitamente le composizioni degli anni fra i Settanta e i Novanta con ritagli di quadrangoli e triangoli irregolari e volanti in sequenze ed incroci, sino ai cerchi dei Novanta. Ma la fase più fortunata e famosa è quella dei Sessanta, segnati appunto dalla sala nella Biennale del 1964 per la quale ottenne il primo premio “per la grafica”. E’ il tempo in cui Savelli abbandonando rilievi dinamici  alla Scarpitta, innalza pannelli di essenziale geometria solcati da corde tese in scanalature che “disegnano” strutture primarie spesso scavate da più cerchi, che io lessi come metafisici stipiti ed occhi. Metafisica oggettuale con citazioni classiche, mentre fu Newman a suggerire all’artista il titolo Dante’s Inferno per una struttura- scultura del 1964-69 che sa tanto di arte minimal. Invece le corde e gomene ritorte – che Savelli lega a memorie delle marine calabresi – assumono talvolta poderosa autonomia plastica, anche in riprese tarde del 1993-94. Frequenti le sculture astratte in lamiera, rare le installazioni come la “Stanza Luce” ricostruita nel MARCA sulla base del progetto lasciato nel 1992 al museo civico di Taverna.
Perché poi un artista così stimato da colleghi e critici autorevoli sia scivolato in lungo oblìo è questione complessa. Giocò certo il suo spirito libero (rifiutò persino un contratto con Leo Castelli). Ma non fu l’unico ad essere risucchiato nel vortice di una cultura che pur da campi opposti liquidava il culto della Forma e della Trascendenza. Mentre lui andava “affogando giorno per giorno in una eco senza colore” (dattiloscritto del 1965, forse). 

*La mostra “Angelo Savelli – Il maestro del bianco” è aperta nel MARCA di Catanzaro (via Alessandro Turco 63) sino al 30 marzo 2013. Orari: 9.30 -13, 16 -20.30. Ingresso 3 euro. Info: tel. 0961746797, www. museomarca.

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