sabato 29 dicembre 2012

Son venuto da Parigi fin qui...(per una mostra a Bari). E poi Fata Morgana in video a Terlizzi


Per la prima volta da quando si è aperta la nuova galleria in un bel palazzo antico di Bari vecchia, Doppelgaenger non presenta la personale di un singolo artista o gruppo, ma una collettiva con quattro artisti di diversa nazionalità e di diversa estrazione culturale. Hanno in comune il più o meno ben temperato riciclaggio formale di istanze figurali tra il fantastico e il lirico, su metri di sorvegliata ironia. La più spiritosa, e – diciamo – impertinente è la tedesca Carolin Jorg, 35 anni, che sventaglia nuvolette di cartuccelle nere come fumetti su cui sono ripetute le esclamazioni “Ahah” e “Yeah” (quasi versione grafica della storica risata di De Dominicis), issa come uno stemma un groviglio dadaista di strisce di carte tracciate con inchiostro, che ammiccano – rivela lei -alle palle di peli rigurgitate dai gatti, e dissemina disegnini un po’ goffi, come è moda dai Novanta. Il più manierato è l’altoatesino Andreas Senoner, trent’anni appena (ma ne dimostra molti di più in arte): con statuine in legno dipinto di compassato surrealismo aggiorna la tradizione di scultura in legno della sua terra cara ai turisti. Riprende invece il filo di cultura grottesca che corre da Picasso ai fratelli Chapman nelle citazioni deformanti di volti e ritratti il francese Gael Davrinche, classe 1971. Sfoggia notevole virtuosismo pittorico anche in impetuose evocazioni di steli floreali in disfacimento, un po’ Twombly con eleganza francese. L’unico che usa un mezzo non pittorico è il suo connazionale Alain Delorme, 33 anni, che partecipa con straniamenti sornioni alle molte prove di finzione visiva eccitate dalla fotografia digitale. Con la serie dei Totem portati avanti dal 2009 (due in galleria) presenta portatori di carretti fotografati per le vie di Shanghai: scene di vita cinese, ma gli accumuli vistosi (alla Arman) di mobili od oggetti trasportati dai carretti sono realizzati appunto in digitale, come altri interventi che accentuano i sintomi di modernizzazione consumista nella Cina post-Mao. Mostra piacevole dunque. Ma che essa porti addirittura “una ventata di aria fresca nelle stanze chiuse di Bari” come annuncia da Parigi Vittorio Parisi, il giovane curatore di nascita barese embedded dalla galleria, beh, fa sorridere. E’ Natale: gli auguro riflessioni meno frettolose sull’arte contemporanea, miglior conoscenza della sua città, e soprattutto senso della misura. -------- Da un po’ di giorni, quando cala il buio, in una stradina del centro storico di Terlizzi una finestra gotica si illumina e vi appare una donna che colpisce rabbiosamente con un battipanni un tappeto messo a stendere. La videoproiezione che attira molto i ragazzi è di Nina Lassila, finlandese che vive a Berlino, uno dei sette videoartisti nordeuropei che partecipano al primo tempo della rassegna “Fatamorgana”. Si svolge nel palazzetto di Cinzia Cagnetta che è anche sede domestica della galleria Omphalos e l’ha curata Giuseppe Pinto, artista brindisino che si esprime concettualmente anche progettando eventi. E’ l’animatore di un “collettivo senza fissa dimora” che si chiama “Like a little disaster” e promuove “collaborazioni artistiche, esplorazioni e sperimentazioni”. Una esplorazione a tappe della videoarte internazionale vuole essere appunto “Fatamorgana” che avrà un secondo capitolo a Terlizzi tra febbraio e marzo e poi chissà. Il filo rosso che lega le apparizioni sapientemente dislocate nelle stanze della casa è non tanto l’origine degli autori, quasi tutti scandinavi. Esibiscono performances individuali di personaggi solitari che mettono in causa e in prova il corpo con azioni minime al limite di una surreale quotidianità, con “incidenti” non violenti né provocatori (assai lontana è la Body Art “storica”). Dicono di personali inquietudini, ricerche o smarrimenti di identità, di situazioni spiazzanti o disturbanti che sollecitano l’attesa e il dubbio degli spettatori. “Niente come un piccolo disastro fa distinguere le cose”, diceva un fotografo (David Hemmings) a Vanessa Redgrave in “Blow Up” di Antonioni (1966). Nella frase-chiave del film dalla quale ha preso intestazione il collettivo nomade sta in fondo la chiave di lettura esistenziale, prima che culturale, di questi video che respirano aria di Berlino con memorie da Bruce Nauman e Marina Abramovic. Così Trine Line Nedreaas mostra in tre short una donna che mangia spade tranquillamente, un omaccio nerboruto che spacca tavolette con la testa, un vecchio che divora salsicce senza posa. Soren Thilo Funder inquadra un uomo che prova a tenere fisso lo sguardo senza batter ciglio per 52’, e gli occhi ovviamente si arrossano e lacrimano. Nella stessa stanza c’è un monitor con lo schermo pudicamente rivolto contro la parete; sbirciando di lato si potrebbero intravedere i pantaloni di un uomo che si stanno bagnando di pipì (è lo stesso video di Knut Asdam visto l’anno scorso in esplicita proiezione frontale a Bari nel teatro Margherita per la mostra dal museo di Malmoe “L’uomo senza qualità”). Hannu Karjalainen segue impassibile la lenta colatura di rivoli di vernice bianca e blu sulla testa di un uomo con occhi chiusi, sin che il volto sia coperto e plasmato a modo di scultura effimera, di maschera liquida. La giovane Sini Pelkki invece contempla in piedi da un balcone, volgendo sempre le spalle al pubblico, il verde fitto di un bosco, senza perché. Infine, scendendo dall’esterno di casa Cagnetta nel buio di una cantina, ci rilassiamo su un’onda sonora quasi ipnotica ai giochi di riflessi visivi nello spazio compiuti con globo e cerchi da Sigurdur Gudjonson, artista-prestigiatore.
Il tutto è visibile in via Toselli 21 (sino al 15 gennaio) solo su appuntamento: tel. 0803512203, cinziacagnetta@gmail.com.

Nessun commento:

Posta un commento