giovedì 20 dicembre 2012

Quando la foto cancella il potere (a proposito di Alessandro Cirillo)



Nel Castello di Bari si raccoglie nella quiete umbratile della cappella sulla corte una singolare quadreria. Sono fotografie di medio formato scattate nell’Hermitage di San Pietroburgo, di una serie di dipinti ottocenteschi che raffigurano personaggi della corte dei Romanov, la dinastia degli zar che fu spazzata via dalla Rivoluzione d’Ottobre. Sembrerebbero opera di un dilettante allo sbaraglio. Uno che riprende quadri senza flash, anzi sfruttando solo la luce naturale da qualche vetrata. Ma lo fa dal punto sbagliato; là dove la luce si rifrange sul dipinto, e annulla il volto dei personaggi in un grumo biancastro, un alone di luminescenza sporca, mentre delle figure si intravede a malapena qualche particolare, tagli di divise, galloni o mostrine, un muso di cavallo.

Autore dell’impresa è il noto fotografo barese Alessandro Cirillo, altro che uno sprovveduto. Ha compiuto una raffinata operazione di illeggibilità e cancellazione delle immagini proprio nel museo, luogo deputato alla loro conservazione e glorificazione. Trasforma i personaggi della storia in fantasmi senza tempo. Una sorta di vanitas moderna, una metafora di meditazione sul potere, sulla sua corruzione e caduta. Analogamente, ma in senso inverso di lettura, nel 2001 Sokurov girò nell’Hermitage il film di culto L’Arca Russa, un ininterrotto piano-sequenza che faceva rivivere sala per sala le scene di storia evocate dai quadri, come un sogno che svanisce.
A Cirillo in verità sembra stare a cuore la modalità per cui la luce trasforma quasi per alchimia la figurazione in materia disfatta, la storia in luminescenza spettrale. Quasi una estetica dell’informale - come osserva Carlo Garzia curatore e presentatore della mostra. Il quale cita altre prove di rapporto col museo che hanno impegnato molti autori, Struth e Hofer, Gursky e Jodice…A me intriga molto l’esperienza linguisticamente “sovversiva” del cancellare anziché indagare (la “camera chiara” di Roland Barthes non approverebbe). E’ il mistero della fotografia, della luce che s’intromette fra realtà e visione, esplorato all’incontrario: come negli schermi bianchi di Sugimoto dove l’immagine si è cancellata per eccesso di esposizione, o nei visi dei contadini lucani che Mario Cresci faceva sparire per eccesso di movimento della fotocamera. Allora, davvero esse est percipi? Sino al 23 dicembre, orari del castello 9.30-19, mercoledì chiuso.

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