giovedì 20 dicembre 2012

Sol LeWitt e Jimmie Durham: due americani a Napoli (con un occhio alla Puglia)




Come un paziente che esce da una grave operazione prova a rimettersi in piedi il MADRE, il Museo d’arte contemporanea di Napoli retto dalla Fondazione regionale Donnaregina. Ha nominato l’altro giorno il nuovo direttore Andrea Viliani. Ma il primo segnale di convalescenza è un composito omaggio a Sol LeWitt, il celebre artista americano (1928-2007) che ha trascorso molta parte di vita fra Spoleto e la costiera amalfitana (a Praiano, il paese della moglie Carol Andriaccio). In Italia ha lasciato moltissime opere fra cui spiccano iwall drawings, i disegni-dipinti su superfici murarie progettati da lui ed eseguiti da assistenti-collaboratori. Ne ha schedato ben 297 la studiosa romana Adachiara Zevi in un prezioso libro edito da Electa che pubblica anche l’ultima intervista rilasciata a lei dall’artista nel 2006. Fra di essi c’è il murale realizzato nel 2003 a Bari nella sala Murat per il tramite di Marilena Bonomo. Proprio una sua parte di immagine, il Sole o Rosone da cui s’irradiano vibrazioni esatte di tasselli cromatici, fa da logo energetico della mostra di Napoli curata dalla stessa Zevi. Anche se la rassegna parla d’altro, nelle tre sezioni in cui si articola. Punta innanzi tutto a far rivivere, alla lettera, l’artista: presenta cinque wall drawings postumi, per così dire. Infatti sono stati realizzati nel museo sulla base di suoi disegni all’inchiostro del 2007 da giovani napoletani guidati da un disegnatore della Fondazione LeWitt che ha sede a Chester nel Connecticut. Appartengono al ciclo finale degliScribbles, gli “scarabocchi” concepiti come matasse finissime di segni in grafite nera che lasciano scoperto un solco bianco al centro, quasi un brivido di luce nel buio che si addensa.
Così l’artista chiudeva con intensità austera  il cerchio di un percorso che era partito nei Sessanta innalzando la bandiera di un’arte primaria fondata sulla assolutezza di una idea progettuale che richiede solo di essere scrupolosamente tradotta nello spazio concreto. Aveva inventato moduli seriali espressi con grafismi lineari  o eretti con bianche griglie di cubi, quasi miraggi di torri, piramidi, ziggurat  (“I concettuali sono mistici più che razionalisti” sosteneva nelle sue Sentences del 1969).  L’incontro italiano con Giotto, con Piero della Francesca, con l’arte del Quattrocento favorì il passaggio dalla fredda linea analitica a dinamismi combinatori fra il disegno “piatto” e gli spazi architettonici, e la tessitura di bande, curve, isometrìe di colore sinuoso. Nei Novanta era andato “oltre la geometria” innalzando muri di cemento e dissolvendo i segni in pulviscoli di ritrovata monocromìa. Questa avventura complessa è evocata sommariamente da alcune sculture-strutture e da una quarantina di gouaches e disegni prestati da collezioni napoletane. Sceltalow cost, anche; ma supportata dai rapporti intensi dell’autore con Napoli sin dai tempi di Lucio Amelio (suoi wall drawings stanno nella stazione Materdei della metropolitana,  a Capodimonte, nella Fondazione Morra Greco).
Vengono invece dall’America le 95 opere di altri artisti che costituiscono la terza sezione della mostra, estratte dalla collezione di LeWitt (circa 4000 pezzi) gestita dalla Fondazione di Chester. Una antologia che rivela la varietà sensibile dei suoi interessi culturali. Non solo i colleghi-amici della comune stagione concettual-minimalista (spiccano lavori di Robert Mangold, Eva Hesse,  Hans Haacke, On Kawara, Dibbets). Grandi fotografi, specie protagonisti della serialità come i tedeschi August Sander e i Becher (e Muybridge citato da un suo lavoro). Anche la linea  performativa, con un raro video di  Steve Reich- Philip Glass. E la bellezza ironica e “calda” degli italiani, dal suo favorito Giulio Paolini a Boetti, da Kounellis a Merz, persino Salvo. Sino alle stampe giapponesi di Yoshiku, 1867…Non deve sorprendere: Sol LeWitt è stato uno degli ultimi sacerdoti del culto senza tempo né confini dell’Arte per l’Arte. Del sogno per il quale “anche Cubi, Quadrati e Linee fanno parte del mondo”.
*La mostra “Sol LeWitt- L’artista e i suoi artisti” è aperta nel Museo MADRE di Napoli (via Settembrini 79) sino al 1.aprile 2013. Orari: da lunedì a sabato 10.30- 19.30, domenica 10-23, martedì chiuso. Ingresso 7 euro, ridotto 3,50. 
Info: tel. 08119313016

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Due possenti radici di secolari ulivi di Puglia s’impongono come sculture informali all’ingresso della Sala Dorica nella corte del Palazzo Reale di Napoli. Aprono la mostra personale di Jimmie Durham, il 72nne artista nativo-americano di fama internazionale, allestita come evento iniziale del “Progetto XXI”. E’ una  rassegna di arte “avanzata e sperimentale” promossa dalla Fondazione Donnaregina ma affidata alle cure della Fondazione Morra Greco, che proporrà lungo tutto il 2013 nove mostre personali di autori sia emergenti che affermati e quattro “residenze d’artista”. Durham si è caricato dei monumentali objets trouvées vegetali l’estate scorsa nelle campagne di Ostuni dove Maurizio Morra Greco, il collezionista napoletano titolare della Fondazione, possiede una residenza. Da altri  ulivi pugliesi e da alberi di noce molisani ha dedotto assi di taglio sommario, blocchi rudemente sbozzati, rami denudati e li ha composti per disporre nello spazio ritmato da colonne d’ordine dorico una selva di “sculture” povere. 
I pezzi s’innalzano come sogni energetici di frammentata bellezza. Li tengono insieme placche inchiodate o morsetti di falegname, in bilico precario su colonnette treppiedi tavolini che l’artista ha scovato dai rigattieri di Napoli. Li segnano o puntellano blocchetti di grigia lava vesuviana. Si protendono come creature meticce nate da connubi ancestrali fra natura e memorie dei luoghi. Dei totem, verrebbe da dire se Durham non raccomandasse di evitare simili definizioni. Così come non ama che si esalti la sua origine di pellerossa. Non perché rinneghi la tribù cherokee dell’Arkansas nella quale è nato, mentre continua a battersi per i diritti degli indiani d’America. Ma vuole evitare l’equivoco di letture etno-folcloriche di opere che semmai interrogano il vitalismo dei luoghi incontrati. Lui da anni vive in Italia (da gennaio prossimo proprio a Napoli): ed è qui che indaga il senso profondo del rapporto che lega natura e memoria, legni e pietre con il lavoro dell’uomo. Per questo richiama come esempio l’arte del grande Brancusi. “Wood stone and friends”  s’intitola appunto la sua personale. E’ visitabile con ingresso libero sino al 27 febbraio 2013, mentre un’altra significativa sala è aperta nel MACRO di Roma. 

Pietro Marino


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