lunedì 29 ottobre 2012

La "prima volta" di Alberta Zallone, da scienziata a fotografa



L'esordio pubblico di Alberta Zallone come fotografa a Bari mi spinge a violare una regola che mi ero dato: quella di non pubblicare su fb le mie recensioni su mostre nelle gallerie private di Bari e provincia (ovvero la "città metropolitana") che appaiono di solito ogni giovedì nella edizione "barese" della Gazzetta. Un criterio selettivo dettato dal timore di inflazionare la produzione di "note",  con conseguente sospetto di eccessivo localismo-esibizionismo.  Per la "prima volta" di Alberta, che è anche una "amica fb" farei un'eccezione, anche perché della sua mostra sui "cieli americani" è appparsa oggi , "fuorisacco", la recensione sulla Gazzetta. Un'altra versione sta per essere pubblicata sul magazine online di Flavia Pankiewicz "BridgePUgliaUsa". Magari può essere l'occasione per sentire il parere degli amici sulla opportunità di mettere in rete "tutto e di più". Intanto, ecco qui sotto il testo su Alberta pubblicato oggi sulla Gazzetta.
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Ha atteso una vita, si può dire, Alberta Zallone prima di esordire in pubblico come fotografa, lei scienziata con studi di rilievo internazionale sull’osteoporosi, docente universitaria di Istologia. Perciò assume interesse insolito la sua prima personale, che apre la stagione di mostre di “La Corte” nella ex cappella del Castello Svevo di Bari. L’associazione presieduta da Marilena Bonomo ha fra i suoi soci uno dei più autorevoli fotografi pugliesi, Carlo Garzia, che è il compagno di Alberta. Si possono capire quindi le sue perplessità in un paese piccolo come il nostro dove per molto meno la gente mormora. Ma infine hanno vinto le sollecitazioni di chi conosceva la qualità di una passione coltivata in autonomia da sempre, sin dall’ambito degli studi scientifici, e affinata in continuo confronto culturale. Rotto il ghiaccio, ecco come prima prova una selezione di fotografie scattate nell’ultimo decennio negli States, dove l’autrice ha vissuto anni di studio e dove torna assiduamente. “Cieli americani” s’intitola la mostra. Dove per “cieli” s’intendono le diverse dimensioni di spazi e condizioni di vita che da sempre esercitano fascinazione sull’uomo europeo.  Da “America” di Jean Baudrillard, Alberta Zallone ha tratto l’epigrafe del suo catalogo “Lo spazio in America è una vera e propria forma di pensiero.”
Una forma duale, nella classica dialettica fra Città e Deserto, fra East e West, fra pieni e vuoti della vita. Un gruppo di foto indugia con sguardo lento e cromatismo caldo sulla New York di sottoponti e soprelevate, i controluce della gente fra tagli di ombre lunghe e sbuffi di vapore, danze e ginnastiche sul belvedere di Manhattan e a Central Park. Sulla parete di fronte, gli spazi bruciati dal sole dei deserti californiani, piani ondulati di monti contro l’infinito, luci di tramonto sugli spiazzi dei motel e delle stazioni di servizio. Fanno da simmetrico contrappunto ai due blocchi di immagini una serie di zumate sui segni della vita urbana marginale -  graffiti, insegne al neon, homeless – e una personale immersione nelle ombre verdi e umide di fitti boschi senza identità geografica, da Washington alle Hawaii. Ma senza perdere la bussola, con trepida incisione di rapporti interni.
Due immagini isolate presidiano questa rete di relazioni tessuta con “tassonomica perizia” (Manlio Capaldi in catalogo). Una schiera di villette del North Carolina con tetti spioventi di candido disegno contro fondi di nuvole blu (inevitabile il richiamo ad Hopper); e un imperioso tratto di arco nero che taglia il cielo da un tappeto di nuvole azzurre, astrazione minimal dell’avveniristico  Gateway Arch di Saint Louis, sul Missouri. Anche un diagramma Nord – Sud, nella mappa dei misteri estatici dell’America tracciata da Alberta Zallone. Sino al 23 novembre, negli orari del Castello.

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