martedì 16 ottobre 2012

Francesco Vezzoli. Democrazy, 2007


Una singolare mostra d’arte contemporanea dedicata alle campagne elettorali per le presidenziali USA è in corso presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 
E punta l’obiettivo sui mass media come strumenti di manipolazione sociale

di Pietro Marino

RIVISTA ON-LINE DI CULTURA E TURISMO
- EDIZIONE OTTOBRE 2012 -

Mentre il duello per la Casa Bianca fra Obama e Romney entra nella ultima e decisiva fase, una eccezionale mostra in corso a Torino punta l’attenzione sulle campagne elettorali per le presidenziali USA come evento mediatico di interesse mondiale. Un grande teatro politico anche visivo, è quello messo in scena dalla rassegna in corso nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (sino al 6 gennaio 2013). Fotografie scattate da reporter – famosi e non – della celebre agenzia Magnum. Opere di artisti contemporanei che con diversi mezzi (video, foto, pittura, installazioni) evocano il fenomeno con libertà di immaginazione e di commento. Una parata di oggetti prodotti per la propaganda elettorale (spot, manifesti, gadget, spille, bottoni, bandiere). Ma non è solo una rassegna “storica”: anche la competizione in corso entra “in diretta” nell’evento.
Il senso complessivo del progetto si coglie nel salone centrale con l’allestimento concepito dall’artista newyorchese Jonathan Horowitz per la prima elezione di Obama, 2008. Due tappeti uno blu l’altro rosso – i colori di democratici e repubblicani – ricoprono il pavimento, a parete si dispongono i ritratti di tutti i presidenti nella storia degli USA. Al soffitto da una nuvola di palloni bianchi rossi e blu contenuti in una rete, pendono per aria due televisori piatti opposti fra loro. Nel 2008 trasmisero il giorno delle elezioni dai due quartieri generali; il 6 novembre 2012 trasmetteranno in diretta – per una estemporanea sala stampa con ospiti – la nuova emozionante “notte bianca” che proclamerà il 45° presidente degli States, mentre i palloni saranno liberati dalla rete.
L’idea della mostra forse senza precedenti è di Mario Calabresi, direttore del quotidiano torinese La Stampa, che è stato per anni inviato a New York. L’ha realizzata con il critico d’arte Francesco Bonami, direttore artistico della Fondazione Sandretto, che ha vissuto pure lui diversi anni a New York, con l’apporto della Magnum, l’agenzia fotografica nata non a caso in America sessant’anni fa. Sono una ventina gli autori delle immagini esposte, fra cui grandi nomi della fotografia di reportage come Cornell Capa, Elliott Erwitt, René Burri, Martin Frank, gli italiani Paolo Pellegrin e Alessandra Sanguinetti, e l’attuale direttore della Magnum Alex Majoli. Di Eve Arnold è la fotografia scattata nel 1964, di una pittoresca sostenitrice del candidato repubblicano Goldwater, assunta ad efficace icona della mostra. È addobbata – per dir così – di gadget di propaganda, a conferma del rilievo strategico che l’apparato del consenso visivo è andato assumendo dai tempi del Pop. Lo testimoniano i 350 bottoni e i 20 poster esposti da un collezionista italiano che vive in America, Luca Dal Monte, che di gadget ne ha raccolti ben 1500: dalla campagna di Roosevelt 1932 (ma i primi bottoni apparvero nel 1896) ad oggi.
Una raccolta di spot di propaganda politica dal 1952 al 2008 è invece proposta in unico video di 75’ da Antoni Muntadas, noto artista spagnolo che vive a New York, da anni interessato ad esaminare con Marshall Reese i mass media come strumenti di manipolazione sociale. Interessante anche perché dimostra l’evoluzione della propaganda televisiva, da veicolo informativo a macchina di persuasione emotiva. Per creare il “Perfect Leader”, come ammoniva già nel 1983 un polemico video del californiano Max Almy, prodotto in occasione della campagna fra Reagan e Mondale. L’ascesa dell’ex attore di Hollywood alla Casa Bianca segnò indubbiamente una svolta in questa direzione, dall’impegno per le idee alla vendita di un prodotto.
Come sia cambiata anche la cultura delle conventions, lo dimostrano altre opere in mostra. Da una parte due video “storici”, girati in bianco e nero nel 1972 da un folto gruppo di video attivisti di San Francisco, il consorzio TVTV (Top Value Television) fra gli elettori per Nixon e Mc Govern. Dall’altra l’ironia straniante dell’italiano Francesco Vezzoli: nel videoDemocrazy presentato alla Biennale di Venezia 2007, i candidati che si confrontavano per la presidenza USA erano Sharon Stone e Bernard-Henry Lévi. Lei attrice sexy di Hollywood, lui sofisticato filosofo francese. Ma parlano e si muovono secondo i dettami dei rispettivi strateghi della comunicazione: importanti non sono i contenuti ma “la fotogenia, la sicurezza, la retorica”.
Varrà anche per la elezione del 2012? La discesa in campo di Obama segnò un’altra svolta nelle strategie della comunicazione: irruppe allora il popolo di internet, la grande Rete spontanea e interpersonale. Ma sarà sempre così? A quella sfida del 2008 risalgono due ritratti di Obama e di McCain, dipinti a china acquerellata come antichi eroi orientali dal cinese Yan Pei Ming. Ma anche le fotografie di Ramak Fazel, artista iraniano che vive a Milano. Mostrano gente addormentata nella Smithsonian Freer Gallery di Washington: era il 20 gennaio del 2009, avevano cercato lì rifugio dal freddo e dalla stanchezza nell’attesa del discorso di insediamento del primo presidente afroamericano della storia. Ripresentati ora a Torino, quei dipinti e quelle fotografie assumono sensi diversi di inquietudine e di dubbio. Gli eroi sono stanchi? Il sogno sta per svanire?

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