martedì 23 ottobre 2012

For president: foto arte e bottoni nelle elezioni USA



Finale di partita col fiato sospeso fra Obama e Romney per la conquista della Casa Bianca. L’esito incerto accresce la suspense per le presidenziali USA: da sempre evento mediatico di interesse mondiale, grande teatro politico capace di coinvolgere anche l’immaginazione visiva. Lo prova una rassegna fra storia ed attualità in corso a Torino, nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo . Fotografie a forte valenza iconica (specie per l’epopea dei Kennedy) scattate negli anni da una ventina di reporter della celebre agenzia Magnum, fra cui grandi nomi come Cornell Capa, Elliott Irwin, Eve Arnold. L’apparato pop delle pubblicità elettorali: spot, manifesti, gadget, spille, bottoni. Di bottoni ce ne sono in mostra ben 350, sin dalla campagna di Roosevelt 1952, estratti dalla vasta collezione di un italiano d’America, Luca Dal Monte. Una raccolta di spot di propaganda politica dal 1952 al 2008 è proposta in unico video di 75’ da Antoni Muntadas, noto artista spagnolo che vive a New York. Così la comunicazione di propaganda trapassa il costruzione di immaginario, con opere di diversi artisti contemporanei. E’ un bell’intrigo che mette pepe sull’iniziativa ideata da Mario Calabresi, direttore del quotidiano torinese “La Stampa” che è stato per anni inviato a New York. L’ha realizzata con il critico d’arte Francesco Bonami, direttore artistico della Fondazione Sandretto, che ha vissuto pure lui diversi anni a New York.
Il senso complessivo del progetto si coglie nel salone centrale con l’allestimento concepito dall’artista newyorchese Jonathan Horowitz per la prima elezione di Obama, 2008. Due tappeti uno blu l’altro rosso – i colori di democratici e repubblicani- ricoprono il pavimento, a parete si dispongono i ritratti di tutti i presidenti nella storia degli USA. Al soffitto da una nuvola di palloni bianchi rossi e blu contenuti in una rete, si calano in sospensione due televisori piatti opposti fra loro. Nel 2008 trasmisero il giorno delle elezioni dai due quartieri generali; il 6 novembre prossimo trasmetteranno in diretta – per una estemporanea sala stampa con ospiti - la nuova emozionante “notte bianca” che proclamerà il 45.mo presidente degli States, mentre i palloni saranno liberati dalla rete. 
La mostra però proseguirà, sino al 6 gennaio 2013. A riguardare con occhi non da tifosi le opere degli artisti chiamati in causa è possibile capire come sia cambiata anche la cultura delle conventions, in alcune svolte storiche significative. Negli anni Settanta, in clima da guerra del Vietnam e di contestazione nelle università, gli artisti sono al contempo attivisti: con le prime handycam in bianco e nero, il gruppo TVTV di San Francisco (Top Value Television) si cala fra gli elettori di Nixon e McGovern. La musica cambia con gli Ottanta di Reagan: l’irruzione dell’ex attore di Hollywood trasforma le campagne presidenziali da impegno per le idee a confezione di un prodotto da piazzare: il “Perfect Leader” di un video del californiano Max Almy girato nel 1983. Evoluzione che l’italiano Francesco Vezzoli commenta con ironia straniante nel video “Democrazy” presentato alla Biennale di Venezia 2007: sugli schermi, i candidati che si confrontano per la presidenza degli USA sono Sharon Stone e Bernard- Henry Levi. Lei attrice sexy di Hollywood, lui sofisticato filosofo francese. Ma parlano e si muovono secondo i dettami dei rispettivi strateghi della comunicazione: importanti non sono più i contenuti ma “la fotogenia, la sicurezza, la retorica”.
Vale anche per la elezione del 2012? La discesa in campo di Obama segnò un’altra svolta nelle strategie della comunicazione: irruppe il popolo di internet, la grande Rete spontanea e interpersonale. Ma non sembra che sia più così. A quella sfida del 2008 risalgono due ritratti di Obama e di McCain, dipinti a china acquerellata come antichi eroi orientali dal cinese Yan Pei Ming. Ma le fotografie di Ramak Fazel, artista iraniano che vive a Milano, mostrano gente addormentata nella Smithsonian Freer Gallery di Washington. Era il 20 gennaio del 2009: avevano cercato lì rifugio dal freddo e dalla stanchezza bivaccando in attesa del discorso di insediamento del primo presidente afroamericano della storia. Presentati ora a Torino, quei dipinti e quelle fotografie assumono sensi diversi di inquietudine e di dubbio. Gli eroi sono stanchi? Il sogno sta per svanire?

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