giovedì 4 luglio 2013

Arte a New York: ma è ancora il centro del mondo? (per "Empire State", mostra a Roma)

New York è stata per almeno mezzo secolo, dal dopoguerra, la capitale mondiale dell’arte contemporanea. Ma lo è ancora? Il dubbio ritorna visitando una mostra in corso a Roma nel Palazzo delle Esposizioni che intende rappresentare con 20 autori “l’arte a New York oggi”. S’intitola “Empire State”, citando lo storico appellativo della New York City coniato orgogliosamente ai tempi di George Washington. Che le cose siano cambiate lo riconosce “sir” Norman Rosenthal, l’anziano e autorevole critico inglese che ha curato la mostra con un rampante curatore newyorchese, Alex Gartenfeld, 26 anni: “una vera e propria esplosione artistica si è diffusa in tutto il pianeta”. Effetto della “nuvola informatica” ma anche di nuovi protagonismi sia dall’Europa (Londra, Berlino) sia dall’Estremo Oriente. Tuttavia si è accelerata la “trasformazione dell’arte in un’industria di livello mondiale “ e New York è l’epicentro del “capitalismo globale” (scrivevano Antonio Negri e Michael Hardt in “Empire”, 2000). Rimane il cuore del mercato internazionale dell’arte e continua ad essere melting pot attrattivo per gli artisti. Anzi si è trasformata in “città spettacolo”, sostiene Tom McDonough in uno dei testi nel denso catalogo Skira, citando “La società dello spettacolo” di Guy Debord (1967). Ne vede un segno nella “gentrificazione” dei quartieri popolari della città da parte di una borghesia in cerca dell’autenticità perduta. Con un effetto paradossale : ”Cacciando via i poveri, le automobili e gli immigrati, facendo ordine, eliminando i germi, la piccola borghesia annienta esattamente ciò che è venuta a cercare”.
Così “l’autenticità” del passato e del vissuto si trasforma in feticcio e simulacro - il Kitsch, in sostanza. Del resto l’identificazione dell’opera d’arte come merce ebbe proprio a New York il suo lucido profeta, Andy Warhol. Eredità raccolta da Jeff Koons che contamina ironicamente classicità e banalità: come la “scultura” di Venere in acciaio lucidato in verde con un vaso di fiori accanto. Con maggiore finezza di concetto e di gesto, un artistar come Julian Schnabel sovrappone imperiosi arabeschi pittorici a ingrandimenti fotografici di pannelli ottocenteschi che raffigurano una vittoriosa battaglia indipendentista di George Washington. Capofila di alcuni interessanti tentativi di reinventare i linguaggi diffusi dalla fucina di New York. Michele Abeles cita le Bandieredi Jasper Johns in scomposizioni digitali. Joyce Pensato stravolge il Paperino dei fumetti con pittura in bianconero da action painting, energica e drammatica. All’opposto, Wade Guyton riprende il gigantismo inespressivo della pittura minimal producendo con stampante a getto d’inchiostro 15 metri di strisce orizzontali verdi e rosse su teli di lino.
Ben pochi – almeno nelle scelte talvolta opinabili dell’Empire State – si sottraggono alle pratiche postmoderne del simulacro, che l’arte europea va contestando. Rincorre spettacolarità ludica Rob Pruitt, contrapponendo un gigantesco stegosauro in fiberglass nero ad una parete di  “quadri” iperrealisti con accumuli di libri. Un pastiche visionario è  il “ciborio” di Keith Damier che s’innalza nella rotonda. La sua struttura in acciaio vuole citare la vecchia Penn Station demolita nel 1963 e insieme la struttura a cupola del Pantheon romano; mentre finte ostriche si accumulano ai piedi dell’edicola, a ricordo di quelle che il porto inquinato di New York non produce più…
C’è più esperienza viva della scena urbana nei padiglioni trasparenti del grande Dan Graham, che moltiplicano e confondono percezioni spaziali (in mostra i modelli). Traspare l’anima critica di New York nel video Les Goddesses di Moyra Davey: si aggira con la telecamera nella sua stanza in un grattacielo che lascia indovinare la vita che si svolge fuori, mentre emergono da pagine e foto storie sue, di Goethe, di Freud, di Fassbinder che lei dice con voce che tentenna e sbaglia. E Adrian Piper, esponente storica del concettualismo analitico (non a caso è andata a vivere a Berlino) ci lascia con quattro lavagne sulle quali ha scritto a mano 25 volte, col gesso di scuola, la frase “Tutto sarà portato via”. Minaccia o promessa, profezia o desiderio?

*La mostra “Empire – Arte a New York oggi” è aperta a Roma nel Palazzo delle Esposizioni (via Nazionale) sino al 21 luglio. 
Orari: 10-20, venerdì e sabato 10-22.30, lunedì chiuso. 
Ingresso  euro 12,50, ridotto 10. Catalogo Skira. 
Info: palazzoesposizioni.it

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