giovedì 4 luglio 2013

L'arte degli italiani alla Biennale di Venezia: la calma dopo la tempesta . Con un po' di Puglia, anche...

Francesco Arena -Massa sepolta, 2013

Flavio Favelli - La Cupola 2013

Luigi Ghirri - Alpe di Siusi, 1979

Chiara Fumai -I did not Say or Mean Warning, 2013


Ritorniamo a Venezia. Per uno sguardo più attento al Padiglione Italia che rappresenta ufficialmente il nostro Paese nella 55. Biennale d’arte contemporanea. Lo fa con 14 artisti selezionati da Bartolomeo Pietromarchi, direttore del MACRO, il Museo comunale d’arte contemporanea di Roma. Fra loro c’è l’unico “pugliese di Puglia “, il brindisino Francesco Arena (classe 1978) che vive a Cassano Murge. Si è affermato fra gli autori di nuova generazione che praticano un neoconcettualismo rivolto alla rielaborazione linguistica di eventi della storia recente. Nell’Arsenale ha installato quattro cassoni blindati come “torri” alte 7 metri ripiene di terreno. Non si vede all’esterno, il peso complessivo corrisponderebbe a quello del corpo dell’autore moltiplicato per il numero delle vittime sepolte in fosse comuni durante quattro episodi di guerre civili del Novecento, in Spagna, Italia, Bosnia e Kosovo. La freddezza analitica è il metodo col quale l’artista distanzia in implacabile allucinazione l’impatto emotivo delle storie. Esemplare la cassa che ricostruiva la cella di Aldo Moro, 2004. Qui il suo straniante minimalismo risente di qualche eccesso di inerzia monumentale. Anche per la contiguità con la coinvolgente performance di una ragazza che lentamente si spoglia della divisa di giovane fascista per ostentare la sua liberata nudità: remake di una storica performance 1973 dello scomparso Fabio Mauri, “Ideologia e Natura”, con la quale la “Massa sepolta” di Arena è stata accoppiata sul tema Corpo –Storia.  
Infatti la rassegna curata con ricerca sin troppo diplomatica di equilibri linguistici e generazionali da Pietromarchi scandisce le quattordici presenze in sette “ambienti” su temi duali sin dal titolo, “Vice Versa”. Lettura di “categorie italiane” che riprende ed estende gli schemi dialettici suggeriti per la letteratura da un noto saggio 1996 di Giorgio Agamben, riedito da Laterza nel 2010. Dove polarità come tragedia e commedia, lingua colta e lingua popolare, orfismo e lirismo si tengono in tensione ambivalente, quasi facce di stesse medaglie. Con  attitudine alla mediazione formale, se non al compromesso, che stenta ad affermarsi nel confronto con le “geopolitiche dell’arte” (Dantini 2012) dominanti nella postmodernità occidentale.
 “Vice Versa” prova a risalire la china (fattasi rovinosa dopo il caos sgarbiano del 2011) puntando sulla qualità complessiva dell’offerta e su alcuni nomi di acquisita autorevolezza identitaria. Come Mauri appunto e un altro grande scomparso, Luigi Ghirri. Del celebrato fotografo è rilanciato lo storico “Viaggio in Italia”, la rassegna da lui curata nella Pinacoteca di Bari nel 1984 con i “nostri” Gianni Leone ed Enzo Velati. Si è scritto tante volte della sua importanza: come rivelazione di un diverso “paesaggio italiano” e come  svolta nella cultura dell’immagine. Va ricordato il contributo barese a quella operazione. Anche perché oltre alla cospicua parte di immagini di Ghirri, figurano in mostra diverse fotografie anche dei baresi Gianni Leone e Carlo Garzia e di altri protagonisti a noi vicini come Mario Cresci. Un sentore di Puglia popular promana infine dalla maestosa cupola di cassarmonica prelevata in Salento da Flavio Favelli: l’artista tosco-emiliano l’ha montata nel padiglione proseguendo nella ricomposizione di frammenti della memoria personale e collettiva.
Fra i viventi di vecchia generazione, tengono botta il 98enne Baruchello con una installazione di levità pensante e il settantenne Giulio Paolini con le sue inquietudini formali. Non al meglio della forma, su opposti versanti, i midcareer Marco Tirelli con una parete di repertori figurali e Massimo Bartolini.con un accidentato sentiero di bronzo. Elisabetta Benassi non scherza per concettualismo archivistico con un forte pavimento di diecimila mattoni fatti con terre ex alluvionate del Polesine su cui sono incisi i codici di riconoscimento dei frammenti spaziali NASA. Mentre Luca Vitone diffonde nell’aria sentori di essenze di rabarbaro per evocare le pestilenziali polveri dell’eternit di Casale Monferrato. E sembrano avere “braccino corto” - come si dice nel tennis - i più giovani. Il lambiccato apparato installativo-performativo di Marcello Maloberti; il calviniano barbiere all’opera su un albero di Sisley Xhafa; il blocco di cemento impastato con polvere d’oro di Piero Golia; la lastra dilavata con impulsi sonori da Francesca Grilli.
  Si compone comunque un quadro italico di partecipazione alle inquietudini contemporanee segnato – fa notare Stefano Chiodi – dalla oscillazione fra “grumo di straniamento e desiderio di continuità”. Alcune scelte potevano essere diverse, c’è troppo “usato sicuro”. Ma viene ristabilita la serietà della ricerca, la dignità problematica della proposta.  Non è poco nell’Italia di oggi.
PIETRO MARINO
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Fra gli eventi d’arte  che occupano Venezia in occasione della Biennale 2013, di particolare interesse per i pugliesi è la performance di Chiara Fumai, vincitrice del premio Furla per giovani artisti italiani, nella Fondazione Querini Stampalia. Chiara (Roma 1978) vive a Milano, ma il padre è barese, a Bari vivono entrambi i genitori e a qui lei ha vissuto e studiato sino al liceo. A Bari ha compiuto alcune tappe significative della sua rapida emersione sulla scena non solo nazionale (basta ricordare la partecipazione a Documenta Kassel 2012). Si è affermata per singolari invenzioni concettual - performative nelle quali il femminismo “politico” s’impasta con l’esoterismo in storie sospese ambiguamente fra memoria privata e finzione letteraria. Dice (mentendo) di non volerci allarmare con la performance che ha ideato per Venezia (“I did not Say or Mean Warning”). La tiene di persona due volte al giorno, in italiano e in inglese, per gruppi ristretti (sino al 30 giugno). Si tratta di una “visita guidata” alla collezione della prestigiosa Fondazione veneziana, con quadri e statue, mobili e arredi di Sette - Ottocento. L’artista conduce il pubblico nelle singole sale con compitezza professionale. Si sofferma in ciascuna a spiegare un’opera in particolare, specie quelle in cui appaiono donne della Bibbia o della storia. A tratti, di colpo, il freddo rigore della narrazione s’interrompe, Chiara perde la voce, assume una espressione cattiva, comunica qualcosa con i gesti dei sordomuti. Dev’essere una storia violenta, perché si conclude con un accenno di taglio di gola (è la registrazione della telefonata di una brigatista rossa negli anni 70 che confida la sua rabbia di donna nel contesto della lotta armata). Dopodiché riprende come nulla fosse il filo del discorso. Il pubblico è come catturato nella trappola degli spiazzamenti mentali, esaltati dal contesto museale. La registrazione della performance è proiettata su monitor collocati in diversi spazi della Fondazione. Poi il video passerà nella collezione del Mambo di Bologna (p. mar.)






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