mercoledì 27 febbraio 2013

Ana Mendieta, la Natura è Donna (una mostra nel Castello di Rivoli)



Non è il momento migliore, forse, per parlare con la dovuta attenzione di Ana Mendieta, grande artista di origine cubana ma poco nota al pubblico anche per la morte precoce (L’Avana 1948- New York 1985). Si affermò negli anni Settanta come interprete originale, piuttosto borderline, dei movimenti con i quali l’arte si proponeva come esperienza performativa, mettendo in gioco il corpo stesso degli artisti e uscendo dagli spazi deputati, cercando nuovi rapporti col territorio e con la natura. Le dedica – per la prima volta in Italia - un’ampia retrospettiva il Museo Castello di Rivoli, per un coraggioso progetto di mostre dedicate a “figure in ombra” che operano “negli interstizi della storia”. Così intende Beatrice Merz, rimasta da sola alla direzione del Museo dopo l’abbandono di Andrea Bellini “emigrato”a Ginevra.
Però – ecco le difficoltà di contesto – il mandato della Merz è in scadenza e non è stato rinnovato né sono stati definiti i criteri per la successione. E’ in crisi tutto il sistema dell’arte a Torino, sinora invidiato come modello virtuoso. Tagli dei fondi pubblici e delle banche; disaffezione per il contemporaneo  – in primis dalla Regione Piemonte a conduzione leghista – accusato di essere poco “popolare”; confusa idea di accorpare sotto unica amministrazione Museo di Rivoli, Galleria d’Arte Moderna di Torino e Artissima, fiera d’arte a controllo pubblico; rissa di potere sulle teste da tagliare (in pericolo anche Eccher direttore della GAM) e da incoronare. Di qui proteste dei dipendenti di Rivoli e della stessa Merz e roventi polemiche mediatiche.
In questo clima inusuale per l’aplomb torinese appare più spiazzante l’incontro nella Manica Lunga del Castello con i video, le fotografie, le “sculture” di un’artista che volle farsi “elemento tra gli elementi” della natura. La Natura- Donna,  vissuta come “energia universale che corre attraverso tutte le cose” (parole sue) attingendo alle culture caraibiche del magico, del primitivo, dell’archetipico. Le trapiantò dalla sua Cuba - lasciata fuggendo negli USA con la sua famiglia quando aveva 12 anni - nelle sperimentazioni radicali compiute tra lo Iowa e il Messico. Certamente non ignara di Bruce Nauman e Vito Acconci, di Marina Abramovic e Cindy Sherman, come delle esperienze di Body Art e Land Art. Ma con un sentimento totale di appartenenza alla cultura e alla vita da cui era stata sradicata.
Sottopone il suo corpo a mutazioni animistiche coprendosi di piume (Bird Transformation, 1972) o di fango che la omologa ad un albero (Arbol de la Vida, 1976). Distorce il volto con “variazioni “ di schiume, parrucche, calze. Lascia per terra impronte di sé con le materie vegetali e minerali le più diverse, foglie e cenere, fiori e fango (Siluetas,1976). Scrive “She got Love” col suo sangue, impasta col sangue pietre ed acque, mette in scena uno stupro (Rape Performance, 1973) con evidenza simbolista per cui è accostata ai movimenti femministi dei Sessanta. Col Sangue e l’Eros, il Fuoco che purifica e incide (una fotografia dell’impronta bruciata di una mano apre la mostra). Col fuoco e con polvere da sparo plasma tronchi di olmo come Totem nei due anni (1983-84) vissuti a Roma, per aver vinto il Roma Prize della American Academy. E’ il suo ultimo accostamento all’arte come “scultura” prima del tragico ritorno a New York. Infatti l’8 settembre del 1985 si schiantò dopo un volo dal 34. piano della casa in cui viveva col suo secondo marito Carl Andre, celebre artista minimal. Suicidio, malore, omicidio? (Andre fu processato ed assolto).
Il ciclo di “eterno ritorno” fra Vita e Morte che aveva celebrato s’interruppe così. Ma si interrompeva nei mediatici anni Ottanta anche il percorso di identificazione fra Arte e Vita che aveva segnato il tempo nel quale era apparsa Ana Mendieta. Anche per questo il silenzio calò su di lei. Così come, nei percorsi di riscoperta delle ragioni del Corpo che l’arte ha ripreso a battere dai Novanta, tornano a guardare al suo esempio artiste di nuova generazione che rivivono le sue origini e le sue passioni. Come la connazionale Tania Bruguera, la guatemalteca José Maria Calindo, la colombiana Doris Salcedo, la palestinese-libanese Mona Hatoum, l’afgana Lida Abdul. La esaltano anche le americane Guerrilla Girls innalzando bandiere  di arte contro il potere maschile. Ma Ana si batteva per qualcosa di molto diverso e di più profondo: “Non esiste un passato originale che si debba redimere…Esiste, soprattutto, la ricerca dell’origine”.
PIETRO MARINO
*La mostra “Ana Mendieta.She got Love” a cura di Beatrice Merz e Olga Gambari è aperta nel Museo Castello di Rivoli sino al 5 maggio 2013. Orari: martedì-venerdì 10-17, sabato  e domenica 10 -19. Ingresso euro 6,50, ridotto 4,50. Info: tel. 011 9565222,www.castellodirivoli.org

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